"Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore."
Fernando Pessoa
Dove termina la finzione ed inizia la realtà?
Si finge per necessità di camaleontico adattamento all'esistenza stessa, dove l'esistere diventa situazione sine qua non poter "sopravvivere".
Ma se lo si fa parlando, immaginiamoci quanto non lo si sia fatto scrivendo.
Non tutto ciò che si scrive o si dice è finzione, non tutto ciò che si vive è davvero reale.
La nostra realtà diventa il nostro mondo, ciò che vediamo assume le connotazioni della realtà, da qui ci creiamo il nostro sistema di vita e da qui ne traiamo la nostra personale weltanschauung.
"L'insistenza sulla domanda", ci suggerisce Carlo Sini nel suo saggio, "Etica della scrittura" alla pagina 201 "... cioè la domanda come pratica dell'evento, è una pratica di pensiero sui generis. Essa ha una peculiarità in ciò: che non fa della domanda la premessa del dire, cioè non domanda per sapere. Ma neppure fa della domanda la premessa del tacere, come luogo di scoperta del non sapere e del non poter sapere."Non sempre però la risposta è a portata di mano. Risposte non ce ne sono e quando la domanda si fa più insistente, si tende a voler sondare l'insondabile. Ciò che non esiste, prende corpo nel momento in cui lo si pensa, una radio è tale, anche se non presente come oggetto in quel momento lì davanti, perché la sto concettualizzando, ecco le ho dato vita! E dunque la vita? C'è, chiaro che c'è. Detta attraverso Parmenide:
"Nel poema, una dea senza nome propone al narratore di scegliere tra due strade: quella dell'essere e quella de non essere. La seconda, tuttavia, si rivela illusoria, poiché in non-essere non si può pensare né esprimere a parole. Proprio come "vedere niente" è non vedere, parlare o pensare al niente è non parlare e non pensare affatto, affrontare il nulla non porta ad alcun risultato." Jim Holt, Perché il mondo esiste?, Utet, Novara 2013, pag. 59Quindi cos'è reale? Ciò che la nostra mente è in grado di pensare, diventa improvvisamente reale, indipendentemente che si tratti di qualcosa di concreto o di astratto. E la finzione dunque? Esiste anch'essa. Si finge perché fingendo confermo altresì la mia presenza nel mondo, e così fingo di star male per ricevere attenzioni da qualcuno distratto, fingo di sognare ad occhi aperti per attribuirmi l'"aria" da artista, ecc.
La necessità di esserci, in un dato momento, determina la scelta di alcuni "stratagemmi" atti alla visibilità. Le accuse, mai a cose, fatti o persone, in realtà sono accuse all'esistenza stessa che, obbligandoci su questa terra in un dato periodo, ci relega in una sorta di anonimato collettivo. Esistenzialmente questa è una vera e propria mazzata fra capo e collo. Attraverso le emozioni pensate ed esternate, frutto di esperienze, ci diamo addirittura un ruolo, il ruolo degli esistenti, non dei giudici, A più Alto Giudizio saremo chiamati, ed è a Lui soltanto che dovremo lasciare la possibilità di sentenziarci per stimolarci ad intraprendere il giusto cammino. Rimanendo così in tema di realtà e finzione, attraverso le parole di Georg Groddeck nella sua opera "Il linguaggio dell'Es":
"L'occhio miope non è meno efficiente dell'occhio cosiddetto normale, semplicemente opera in altro modo. Limita l'orizzonte, alleggerisce quindi l'attività di rimozione della vista."Ci accorgiamo che tutto ciò che vediamo, e che crea quel nostro "perimetro", detta con Ran Lahav, è solo una delle molteplici sfaccettature del tutto che vanno a comporre quella realtà, o finzione che essa sia, così come noi desideriamo che ci appaia, a tal proposito sentenzia Robert Nozick nel suo testo, "La vita pensata" alla pag. 168:
"La realtà che la persona produce o incoraggia negli altri è imputata di rimando alla sua stessa realtà."In parole povere ci troviamo quotidianamente a vivere l'evolversi dell'esistenza assaporando con i nostri sensi e facendo sintesi attraverso le categorie del nostro intelletto. Tutto questo è reale, tutto questo è la vita stessa, nel bene e nel male. A noi spettano le scelte, sofferte, di aderire o meno a dei comportamenti che evolvendosi determineranno la nostra presenza sulla terra, al di là degli altri ma anche in contatto con essi perché se il percorso è individuale, l'andare è spesso comune a quelli con i quali ci troviamo quotidianamente a dover interagire.
"Ogni singolo tu è una breccia aperta sul Tu eterno." Maria De Carlo, Appunti per la ricerca di una direzione - Saggio su Martin Buber, Grafie, Potenza 2013, pag. 29
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